LE 7 STRATEGIE INTEGRATE IN ATLANTE.SRI

Cosa c’è dietro un fondo Sri?

Ricerca senza precedenti in Italia, sviluppata negli ultimi 10 mesi da ETicaNews sul database atlante.SRI. I fondi Sri sono stati classificati secondo le 7 strategie di gestione definite da Eurosif. E i risultati non sempre sono tranquillizzanti

Il boom di fondi di investimento sostenibili e responsabili in Italia nasconde un mondo di complessità dietro l’apparenza. E, non sempre, andando oltre questa apparenza, emergono risultati autentici in termini di effettivo impegno sul fronte sostenibile. Anzi, la situazione italiana evidenzia ancora una certa disinvoltura nell’effettiva integrazione di criteri ambientali, sociali e di governance (Esg) nella costruzione del prodotto di investimento. Si può affermare che questa piena integrazione valga solo per un terzo dei prodotti oggi in circolazione. Per la parte restante, occorre prestare attenzione e cercare di capire realmente il grado di impegno nella costruzione del prodotto.

È quanto emerge da una ricerca senza precedenti in Italia, sviluppata negli ultimi 10 mesi da ETicaNews sul database atlante.SRI, l’unica piattaforma che riunisce i prodotti di finanza responsabile distribuibili sul mercato nazionale, costruita assieme a MoneyMate. Queste le indicazioni generali dello studio che è stato presentato in occasione del Salone SRI 2020 lo scorso 24 novembre.

UN BOOM DI OFFERTA

Il boom della finanza è chiaro nei numeri dell’atlante.SRI. Negli ultimi dieci anni, il numero di prodotti Sri (socially responsible investing) si è moltiplicato, a riprova della ricerca di destinazioni più in linea con i propri valori, da parte degli investitori. In Italia ci sono ormai 562 fondi di finanza responsabile. Un numero che, moltiplicato per le diverse classi (cioè, le diverse categorie di uno stesso fondo) porta a un totale di 2.039 prodotti acquistabili dagli investitori italiani (nel 2010 c’erano 147 fondi e 347 classi). Insomma, una offerta imponente, capace di arrivare (dati a settembre 2020) a un patrimonio in gestione di 173 miliardi di euro (vedi la ricerca Atlante SRI presentata al Salone SRI 2020).

Ma il livello di sostenibilità di questa offerta non sempre è chiaro, e, in ogni caso, è sempre molto differente da prodotto a prodotto. Per orientarsi in questa complessità, una bussola importante è quella di conoscere la strategia sottostante il prodotto di investimento, ossia la tipologia di approccio che il gestore ha scelto di seguire. O meglio, che il gestore è stato in grado di seguire, poiché le diverse strategie hanno notevoli differenze in termini di difficoltà.

LE SETTE CATEGORIE DI GESTIONE

Per costruire questa bussola, ETicaNews ha integrato nell’atlante.SRI le sette strategie di gestione individuate da Eurosif (la European Sustainable and Responsible Investment association). In altre parole, ha individuato, consultando i documenti societari fondo per fondo, quali siano le strategie adottate dal gestore.

Le strategie considerate sono:  1) esclusione di aziende dall’universo di investimento, la cui attività è legata a determinati settori, quali vendita e produzione di armi, tabacco, alcol, pornografia, test su animali, nucleare; 2) norms-based screening, che consente di selezionare le aziende che rispettano norme e standard internazionali, per esempio in termini di protezione dell’ambiente, diritti umani, standard di lavoro e i principi anticorruzione; 3) selezione degli investimenti best in class, per cui vengono selezionate le società che ottengono lo score Esg più alto all’interno di una determinata categoria; 4) investimento in temi sostenibili, quali l’ambiente, il cambiamento climatico, l’ecologia o l’efficienza energetica; 5) integrazione dei fattori Esg nelle analisi finanziarie; 6) l’engagement e il diritto di voto su temi di sostenibilità, per cui gli investitori diventano guide per le aziende permettendo di costruire una relazione positiva che dovrebbe portare ad una migliore gestione aziendale e a modelli di business più sostenibili; infine 7) impact investing, ossia investimenti volti a generare un impatto sociale e ambientale unitamente a un ritorno finanziario quali il microcredito o le imprese sociali.

L’ESCLUSIONE RESTA AL COMANDO

Questi sette approcci, in linea teorica, sono sovrapponibili, cioè non si escludono tra loro. Le prime indicazioni dei risultati rivelano che la stragrande maggioranza (il 75,8%) dei prodotti considerati (ovvero 426 fondi) dichiara da una a due strategie adottate; solo lo 0,71% adotta almeno sei strategie; e nessun fondo le adotta tutte e sette. Ci sono invece 39 fondi (quasi il 7%), per cui non è stato possibile individuare l’approccio utilizzato per mancanza di informazioni sui documenti societari.

Il messaggio più forte, come detto, riguarda la percentuale di fondi che dichiara di adottare l’approccio più complesso e più strutturale nella gestione del patrimonio, ovvero di integrare i criteri Esg nella politica di investimento: sono 192, ovvero il 34,16%, poco più di un terzo. Significa che gli altri due terzi del campione hanno scelto strategie meno strutturali. In particolare, emerge ancora una significativa propensione per uno degli approcci più semplici, quello dell’esclusione che, in linea di massima, consente di rendere sostenibile un prodotto con la sola eliminazione di alcuni settori dall’universo investibile. Quasi il 50% dei fondi considerati dichiara di usare questo approccio, talvolta da solo o talvolta accompagnato ad altre strategie adottate nella gestione: è il 40% la quota di fondi che adotta l’esclusione, senza combinarla con l’integrazione Esg. Per questa ragione, occorre prestare molta attenzione alla combinazione dei modelli che il gestore mette in pratica nel scegliere la destinazione “sostenibile” delle risorse.

E LE SOCIETÀ DI GESTIONE?

Il 45% delle società utilizza l’integrazione dei criteri ESG nella gestione dei propri portafogli mentre il restante 55% non ricorre a questo criterio. Il 54% delle società dichiara di utilizzare filtri di esclusione nella politica di investimento. Si tratta del criterio più utilizzato su tutto il campione. Il 40% delle società ricorre al criterio di esclusione, senza integrare i criteri ESG (Ricerca SGR ESG Identity).